Considerazioni Eziopatogenetiche

La malattia

La malattia è la perdita di energia capace di limitare la vita di un uomo e quindi di diminuirne l'autonomia e la libertà.

E' principalmente un fatto nervoso (ad eccezione degli episodi traumatico-accidentali), reso possibile sia da cause sopraneurologiche che ne determinano l'esaurimento, sia da cause corporee che ne impediscono il rifornimento e la rigenerazione.

Nell'interazione e nell'equilibrio dei due comparti, sopra e sottoneurologico, risiede il segreto della salute e la chiave di lettura della malattia, la cui gestione può stare nelle mani solo di chi conosce e sente profondamente lo stato del sistema, la sua regolazione, il suo equilibrio, cioè dell'individuo stesso, anche se aiutato e consigliato a conoscersi, capirsi e trattarsi.

Premesso che una malattia colpisce l'organismo in toto, il suo sviluppo nel tempo e nello spazio può assumere caratteri più o meno specifici e particolari.

La si può distinguere in :

1) Acuta o Cronica, se i suoi effetti perdurano nel tempo

2) Circoscritta o Diffusa, se rimane o non rimane localiz-

zata a un piano

3) Ascendente o Discendente (dal piano corporeo a quello spirituale e viceversa), se la propagazaione e gli effetti tendono a coinvolgere specificatamente piani diversi da quello di partenza.

Conviene fare degli esempi, specialmente di tipo spaziale (2),(3).

1) Malattie Ascendenti:

a) Un ematoma e' una malattia prima

locale (extraneurologica), poi

neurologica; si rimane sempre

sul piano corporeo.

b) un sovradosaggio farmacologico

(es. streptomicina) e' prima lo-

cale, poi mentale.

c) una tossicosi alcolica e' prima

locale, poi mentale, poi psichica.

d) l'insufficienza cognitiva mnesica

e' prima mentale, poi intellettiva,

poi psichica.

2) Malattie Discendenti:

a) una cattiva azione produce un di-

sagio sul piano spirituale che

può portare a distorsioni psichi-

che.

b) un'inibizione psichica può porta-

re a un blocco mentale (es. impo-

tenza).

c) un superaffaticamento intellet-

tuale può determinare effetti

mentali (es. disturbi della at-

tenzione), neurologici (insonnia)

fisici (tremori, vertigini)

d) uno stress mentale può incidere a

livello fisico (discinesie in-

testinali, epatalgia, diplopia,

iperidrosi).

A questi esempi se ne possono aggiungere tanti altri dalle caratteristiche multiformi; si possono avere difatti, dalla malattia, propagazioni bidirezionali, effetti tran-settoriali, distribuzioni complesse con incidenza e intensità differenziata sui diversi piani, ecc., in una gamma infinita di variazioni dipendente dal tipo e dalla intensità della noxa, nonché dalla costituzione del malato.

Al di là comunque, della complessità del mondo della malattia, una volta dato per scontato il carattere di diffusibilità, risulta chiaro un punto di estrema importanza: un disturbo psichico può dipendere da qualsiasi alterazione dei piani inferiori e viceversa, al polo opposto, il corpo può essere l'effettore di qualsiasi causa al di sopra o al di fuori del piano fisico.

Il Sintomo

Una persona sta male perché non dorme, non mangia, è affaticata, non respira bene, deve continuamente evacuare ecc.; che poi si rivestano i dati di fatto con termini scientifici più o meno comprensibili (anoressia, astenia, tenesmo, stranguria), non deve far perdere di vista la sostanza della malattia di cui il sintomo rappresenta l'elemento più importante per il paziente, l'eliminazione del quale peraltro appare legittimo essere l'aspirazione massima della medicina.

Quando un organo o un tessuto viene offeso nei modi più vari possibili, la reazione dell'organismo si basa (tralasciando le più fini e ulteriori specificazioni di competenza della patologia generale) sulla tetrade classica formata da Rubor, Tumor, Dolor e Calor, con lo scopo di una restitutio ad integrum della functio laesa.

La sede anatomica e il tipo di combinazione degli elementi della tetrade, con prevalenza o predominanza dell'uno o dell'altro, rendono ragione dei sintomi (e delle loro differenze e variazioni) la cui causa prossima è sempre il meccanismo patogenetico sottostante.

Definendo però il sintomo come la manifestazione della malattia, ci si pone la domanda: Quale malattia?

La risposta è Qualsiasi malattia!

Certo, qualsiasi malattia, in quanto ha un doppio valore semantico: è il significante di un solo processo patologico, ma nello stesso istante è il significante di ciascuna malattia che attivi tale processo.

Allora è evidente che il sintomo, se è espressione di qualsiasi malattia, è l'espressione di nessuna malattia; è soltanto la manifestazione di un'alterazione organica determinabile a sua volta da qualsiasi malattia, che raramente è solo corporea.

E' vero sì che un sintomo è legato alla patologia tissutale, ma la patologia è solo l'elemento organico della malattia, inquadrabile invero nella sua totalità solo se vi si aggiunge l'eziologia, le cui radici il più delle volte, tutt'altro che sul piano fisico , hanno una valenza antropologica e ambientale.

"La malattia - riporta Salmanoff - è un dramma in due atti, di cui il primo si svolge a luci spente, nel silenzio dei nostri tessuti. Quando il dolore o altri disturbi insorgono, si è quasi sempre al secondo atto". (5)

Insomma se una persona ha un sintomo qualsiasi, ad es. stipsi, cefalea, vertigini, tosse ecc., le cause singole, multiple, complesse, sinergiche etc., possono essere infinite, cosicché oggettivare una malattia con la sua manifestazione o con la sua patologia è estremamente riduttivo e pericoloso.

Rimane, è chiaro, l'imprescindibilità del sintomo come spia di disfunzione e di disergia di un particolare comparto anatomico che rimane attiva fino alla restitutio ad integrum dell'uomo malato; per eradicare una malattia, tuttavia, vanno individuate le cause più profonde che, se non eliminate o se mascherate da interventi medici troppo o solo sintomatici, rischiano di diventare e spesso diventano emittenti croniche di malesseri dall'andamento irreversibile e non più dominabile.

Quello che noi scorgiamo sulla superficie, quello che noi possiamo osservare, classificare, disporre con spirito metodico e logico, non ci offre che i riflessi, i segni dei processi delle profondità, in cui è nascosta, dissimulata la vera realtà.

l'Anatomia Patologica

La visualizzazione e lo studio dell'organismo nelle sue varie parti è di pertinenza dell'Anatomia.

Se oggetto di analisi sono le stesse parti nella loro condizione di malattia, siamo nel campo dell'Anatomia Patologica.

Il fegato sano, ad esempio, è di pertinenza dell'una, il fegato steatosico dell'altra, e così lo stomaco, il cervello, il sangue, le ghiandole, le membrane, le ossa ecc.

Che cosa indica l'Anatomia patologica?

Che un determinato organo o tessuto è stato malato, o meglio che ha subito una malattia.

Quale malattia? Qualsiasi malattia!

Risulta allora evidente che se un organo o un tessuto alterato, dove la configurazione patologica essenziale rimane la stessa, possono essere la testimonianza di qualsiasi malattia, in realtà non lo sono di nessuna malattia specifica, per cui, andare a ricercare le radici della clinica nel luogo nascosto dove la "morte parla della vita" è come cercare un ago in un pagliaio. (6)

Gli organi rappresentano sì i supporti concreti della malattia, non ne costituiscono però mai le condizioni indispensabili.

Se dunque il corpo, gli organi, i tessuti, risultano essere effettori di qualsiasi malattia, allora possono essere considerati alla stregua delle resistenze di un conduttore, con la differenza che mentre queste assorbono e si suddividono la carica elettrica immessa nell'input, quelli assorbono la carica biologica neurogena dipendente da inputs sopra-neurologici vitali.

Nella maniera in cui oscillazioni, variazioni di tensione, black-out temporanei possono danneggiare le resistenze (lampadine, frigoriferi, radiosveglie, etc.,), cosi' pure il venir meno sotto qualsiasi forma o variazione di intensità del flusso vitale, può determinare prima anomalie nel funzionamento degli organi (qualsiasi organo) e siamo nel campo della fisiopatologia, poi nella loro stessa struttura, e siamo nel campo dell'Anatomia patologica.

Il considerare la malattia di un organo come l'espressione di distonie e disfunzioni non solo somatiche, risulta essere d'altronde l'argomento principale su cui si fondano le varie teorie olistiche sull'essere umano, in particolare quelle di derivazione psicoanalitica.

Per Groddeck ad esempio, disconoscere il ruolo delle problematiche psichiche e morali nella genesi delle comuni malattie, significa applicare una medicina dimidiata, dal momento che gli organi sono da considerare, specialmente in condizioni di morbosità, "come via d'accesso all'interiorità". (7)

Una stessa malattia perciò a seconda del punto d'applicazione, può provocare in differenti individui le più diverse alterazioni organiche (con conseguente diversità di sintomi) e nello stesso tempo la stessa alterazione può essere la conseguenza delle più svariate malattie.

La localizzazione, la qualità e la gravità di una malattia, inoltre, non sono legate alla bizzarria del caso, ma dipendono dal concorso e dall'interazione di molteplici elementi, quali:

1) La costituzione dell'organismo, la distribuzione delle masse, la disposizione posturale etc.

2) Il carattere, il temperamento, le caratteristiche

dinamiche

3) Il momento di maggior o minor vigore fisico-psichico

4) i sovraccarichi e gli affaticamenti di qualsiasi natu-

ra e origine (mentali, psichici, intellettuali,

sociali, familiari ecc.)

5) La presenza di vizi, tensioni, storture

6) La qualità e la quantità dell'apporto alimentare

7) Le condizioni ambientali

Voler caricare allora d'eccessiva responsabilità clinica un organo o un tessuto in base a una descrizione anatomo-patologica, appare alquanto velleitario: una resistenza può assorbire più o meno energia, può guastarsi e può rompersi, ma non ci dirà mai del perché accade quel che accade.

Certo, sotto il profilo squisitamente concettuale sarebbe idealmente possibile rintracciare in un organo, con una ricerca anatomo-isto-patologica infinitesima, le cause profonde di malattia di ciascun individuo - l'alterazione organica sarebbe in questo caso la fotografia del vissuto di un malato-; è inutile dire, però, che in questo caso si sarebbe ben oltre i confini della medicina.

Esami di laboratorio. Dati strumentali.

I sintomi sono in funzione della patologia di un organo.

L'anatomia patologica descrive post-mortem gli eventi morbosi.

I dati strumentali e di laboratorio tentano di visualizzare l'andamento di una malattia in vita, anzi soltanto la sua quotaparte fisiopatologica, restando la componente eziologica, analogamente a quanto dimostrato precedentemente, al di fuori di una qualsiasi codificazione.

Un'iperglicemia, un'ipercolesterolemia, un'iperbilirubinemia

una leucocitosi, un'onda anomala o uno slivellamento del tratto S-T dell'elettrocardiogramma, come pure una massa radiopaca o un versamento svelato dall'ecografia, ci dicono dove e in che modo si manifesta il male di un uomo, non ci dicono il perché, rimanendo così solamente su un piano descrittivo o tutt'al più causale-prossimo.

Non è che i presidi diagnostici suddetti siano inutili, resta però il fatto che la loro utilizzazione ha un preciso spazio nosologico al quale non può essere conferita maggior importanza di quella che ha, pena il pericolo di oscurare il vero fine di una diagnostica saggia, mirata principalmente alla terapeutica, la cui attuazione, peraltro, non può dipendere solo dallo studio della patologia, ma anche e principalmente dall'individuazione delle cause soprasomatiche, le vere responsabili delle alterazioni del metabolismo locale e della configurazione funzionale di un sostrato biologico, da considerare invero come attrattore di dinamiche, organismiche in prima istanza, ma poi principalmente mentali, psichiche, spirituali.

Sul Determinismo

Nella comprensione della malattia quindi non basta capire i meccanismi patogenetici, non basta fondarsi sulla regola aurea che tutto ciò che accade ha una causa, la quale ha una causa, che ha un'altra causa...e così via: il mondo sopramateriale ha una ricchezza che non può essere imbrigliata nelle leggi del determinismo.

Nel momento in cui un particolare processo riconosce le sue possibili causazioni nell'infinito, in quel momento non ha più ragione basarsi su un metodo strettamente fisicalista.

Del resto anche sul piano strettamente logico il determinismo è un'idea contraddittoria.

Determinismo infatti significa che ogni evento presuppone il suo essere in una causa, essere di un'altra causa e così via, in un rapporto fra i vari fatti (o termini) in cui si riconosce una costante relazionale operativa che agisce dal primo termine via via fino all'infinito, ogni elemento del quale, peraltro, di volta in volta è soggetto a infiniti influssi.

Ed è qui che sta la contraddittorietà del determinismo:

un nesso di causalità all'infinito, ammette nessi di causalità infiniti, come dire che non ne esistono di determinati.

Se ho una operazione A=K (costante) che è l'effettore dell'infinito, essa non può più avere i caratteri della costante, dimodochè un evento determinato da una causa non si sa quale, potendosene ammettere infinite, viene in realtà svincolato dalla morsa del determinismo.

La sua ragion d'essere, a questo punto, slitta verso un piano concettuale semplicemente metafisico dove, invece che "come accade un fatto", assume importanza primaria la domanda "perché accade un fatto", in un ottica rivolta all'essenza delle cose, a quel on e me' on, principio e fine di ogni pensiero.

Esiste una necessità ontologica delle cause, una necessità che viene prima della necessità del determinismo.

"La filosofia deve terminare con la religione" -afferma Hegel- (7); deve terminare in quell’indispensabile impensabile (8) che, proprio perché impensabile, è il presupposto di ogni pensiero.

Il determinismo dunque ha una validità relativa, nel senso che può essere propugnato solo in un ambito circoscritto definito, dove se è possibile prevedere o prefigurare la concatenazione degli eventi, è altresì d'obbligo non dimenticare che il fatto avviene "a meno di termini di ordine superiore", le cui radici inevitabilmente hanno origine nell'indeterminato e nell'indeterminabile.

Man mano che si passa dal piano meramente fisico a quello biologico, a quello umano, al limite a quello divino, risultando amplificato il processo intrinseco di dinamismo, viene accresciuta la possibilità di interazione con gli elementi dell'infinito fino al punto di disancorarsi da qualsiasi necessità determinata.

Chiunque abbia il gusto del metafisico, l'istinto della libertà e dell'indipendenza non può accettare di essere rinchiuso in alcuna "gabbia incantata" formata da regole, standard e metodi (9); accettare l'infinito significa non accettare alcun principio, o meglio accettare tutti i possibili archè.

Nella storia della cultura occidentale, caratterizzata secondo Comte dalle tre fasi di sviluppo (teologica, metafisica, positiva), quella positiva, rappresentata dai risultati teorici e sperimentali delle moderne scienze fisico-sperimentali, aveva comportato l'abbandono degli approcci teologici e metafisici della natura (10); oggi però, anche se non recuperabili integralmente e aprioristicamente, vanno reinseriti di diritto in una visione completa della scienza (11) dove la biologia, e con essa la medicina, essendo una finestra che fa affacciare sull'infinito (12), evidenzia tutta la limitatezza di un mondo materiale visto con occhi solo positivisti: a grandi linee è possibile trattarlo come un tutto costante e determinato; quando esso però passa o trapassa in altri piani, bisogna valutare che regole adatte ed adattabili a un solo campo possono non essere sufficienti o adeguate se poste in altri domini di esistenza.

Del resto già nei primi decenni del Novecento Heisemberg giunge a chiarire, sulla scorta della teoria quantistica, l'insufficienza delle leggi causali a livello microfisico.

Posizione e comportamento di congetturabili stati futuri delle particelle, vale a dire degli elementi di un sistema subatomico, possono essere calcolati solo probabilisticamente.

E' impossibile cioè applicare in microfisica il modello deterministico di spiegazione della natura e accettare come universalmente valido il postulato di Laplace, secondo il quale i fenomeni non-osservati sono governati dalle stesse leggi che si applicano ai fenomeni osservati.

La spiegazione quantico-meccanica ha quindi carattere statistico e risulta, rispetto agli schemi della fisica classica, "indeterminata".

Cosa significa tutto questo, traslato in campo medico?

Significa che fino ad un certo livello dimensionale si può ragionare in termini deterministici, osservativi, secondo gli schemi della Patologia generale e speciale.

Oltrepassato quel limite, la variazione ultradimensionale contiene una serie di fattori incontrollabili che rendono vane posizioni teoriche fondate su base descrittiva, numerabile e causale prossima.

La Patologia, insomma, caratterizzata da processi biologici costanti, può essere classificata, quantificata, sistematizzata; l'Eziologia invece, coacervo di istanze causali indeterminate, o meglio indifferenti, ha la sua ragion d'essere nel caso e quindi nell'infinito, in una connotazione epistemologica che non può non essere dal carattere "anarchico".

Per delucidare il concetto di Eziologia indifferente si prenda un esempio:

Entità nosologica: Ulcera gastrica

Sintomo: Dolore allo stomaco

Semeiotica: Proiezione algica dorsale

Alterazione anatomica: Erosione della mucosa

Alterazione funzionale: Ipercloridria

Come è facile notare, fin qui ci si può muovere in un ambito codificato, non attuabile, invece, quando si passa sul piano eziologico.

Quante e quali possono essere difatti le cause dell'ulcera?

La risposta è: infinite, non tanto per il numero, quanto per la molteplicità delle loro combinazioni e interazioni.

Di volta in volta, invero, caso per caso, possono entrare in causa una miriade di fattori, quegli "accidenti non accidentali" - secondo una nota dell'OMS -, (costituzione, aggressioni esogene, sovraccarichi mentali, problemi psicologici, tensioni sociali) che possono produrre malattia sia singolarmente sia in sinergia semplice o complessa.

Analogamente all'ulcera gastrica, verosimilmente, tutta la patologia può essere inquadrata in un prospettiva eziologica indeterministica, fermo restando, in ogni caso, il valore conoscitivo dei meccanismi e dei processi patogenetici sottostanti che rimarrebbero gli attrattori di malattia, suscettibile di remissione in prima istanza e nelle prime fasi a interventi solo sul piano corporeo.

Conseguenze mediche

Se è vero, come viene sempre più emergendo, che la parte corporea è solamente una, anche se la più visibile, delle componenti della realtà umana, allora è pur vero che un intervento terapeutico non può essere indirizzato solo a questa, ma va differenziato a seconda delle varie specificazioni.

Un sintomo, una malattia non nascono dal niente, ma sono il risultato di un modo di essere, di vivere, di pensare: come è possibile, allora, credere di risolvere i problemi di un malato guardando solo alla sua fisiopatologia, dipendente e quindi di valore emergente inferiore rispetto alla totalità di un'esistenza?

Come può essere ritenuto possibile riassestare una vita con una pillola?

Attenzione! Il giochetto di normalizzare, se preso alla leggera, un processo patogenetico deviato, muovendosi solo sul piano sintomatologico, nasconde innumerevoli insidie quali:

1) Illusorietà terapeutica basata su un'esiguità dei parametri conosciuti.

2) Danneggiamento più o meno reversibile degli equilibri delicati e dei meccanismi interni.

3) Disconoscenza delle cause profonde, vere emittenti delle malattie, con conseguente cronicizzazione dei processi morbosi.

4) Rassegnazione (e superficialità) nel curare e nell'essere curati, quando venga esaurito l'armamentario terapeutico codificato.

5) Inconsistenza e insufficienza dei programmi di prevenzione, non mirati all'individuo.

6) Massificazione nel trattamento dei malati.

Tali conseguenze negative, risultato di una visione scientista troppo settoriale, affioranti in maniera sempre più nitida nelle coscienze, e un tempo tollerate più facilmente a motivo della situazione storica, assumono oggi, di giorno in giorno, un peso sempre più insopportabile per i membri della comunità, costretti a subire effetti dannosi profondi e a barattare la propria libertà e autonomia in cambio del miraggio della salute.

Un malato, preso nella morsa della pubblicità, soggiogato dall'autorità dei tutori della salute, privato della fiducia in se stesso, intimorito dalle descrizioni apocalittiche della malattia, oltretutto in non perfette condizioni di lucidità mentale e psichica, è costretto ad arrendersi ed a consegnarsi nelle mani della dea medicina, anche se capisce che è portatrice di un'infinità di cose storte, stupide e pericolose.

Nel già citato passo dell'OMS viene sottolineato il giovamento che ne trarrebbe la salute degli individui dalla sprofessionalizzazione della medicina; questo non basta! Occorre che ogni individuo sia il depositario della propria integrità, occorre che ognuno si assuma la responsabilità di se stesso, utilizzando criteri di giudizio basati sul buon senso e sull'equilibrio.

Nessuno mai, per quanto preparato ed edotto sui più piccoli meccanismi fisiopatologici, può consigliare un paziente per la vita; può solamente, a richiesta, intervenire tecnicamente in quel ristretto settore corporeo o in quella ristretta situazione fisiopatologica sedi di alterazione morbosa.

La decisione di un farmaco, di un intervento, di un atteggiamento terapeutico, insomma, deve scaturire dalla valutazione da parte del malato di tutti i fattori che entrano in gioco, soppesando i pro e i contro generali e specifici, tentando di ragionare con la propria testa senza essere sopraffatto dalla figura del medico che deve rimanere, pur se tecnico indispensabile, nei suoi limiti ben definiti, dal momento che è inevitabilmente ignorante sulle vere condizioni di malattia di chi gli si rivolge.

I richiami che vengono fatti continuamente e da più parti riguardo alla necessità di un approfondimento del rapporto medico-paziente, al ruolo dell'empatia e all'importanza di un atteggiamento ermeneutico nei confronti di un evento morboso, nascondono tutti un 'unica esigenza: sottolineare l'impossibilità, da parte del medico, di affrontare oggi, e di risolvere, i problemi di chi gli si rivolge, utilizzando solo e aridamente le conoscenze scientifiche.

Non è il medico che guarisce il malato; è il malato che aiuta il medico a guarirlo.

Nel rapporto medico-paziente, dunque, c'è necessità di chiarezza e di distinzione di ruoli, ma ancor di più è necessario quell'istinto selvaggio per la vita capace in uno di difenderlo dalle aggressioni sovrastrutturali della società, nell'altro di fargli utilizzare il proprio bagaglio scientifico in maniera parca e con rispetto nei confronti di un individuo che, quantunque differenziato ed evoluto, ha sempre una costituzione fiera, animale.

Nella lotta quindi tra un "io" naturale e un mondo artificioso che tende ad obnubilare la coscienza di sé e della propria integrità, bisogna dare voce alle proprie esigenze istintuali basate sulla salvaguardia del proprio corpo sacro e intoccabile, e sul rifiuto di immettere nell'organismo sostanze eterogenee con azione potenzialmente venefica.

Se aggiungiamo a queste poi, considerazioni di ordine generale, come il fatto ad es. che:

1) Un trattamento spesso è causa di sofferenze maggiori, di invalidità e anche di morte

2) Il più delle volte molte terapie, col tempo, manifestano tutta la loro inutilità se non dannosità

3) La maggior parte della popolazione, specialmente anziana, è schiavizzata in una via crucis terapeutica perenne

4) In qualsiasi intervento, anche se ben concepito e condotto, c'è sempre l'alea dell'errore casuale

allora conviene riflettere prima di gettarsi totalmente e incondizionatamente nelle braccia altrui, anche se si è in condizioni di estrema necessità.

Purtroppo però, quando una persona sta male, è normale che perda di lucidità; ciononostante l'istinto, le conoscenze, le riflessioni, devono rimanere sempre vivi nell'animo di un malato, dal momento che rimangono l'unica difesa e l'unico metro di giudizio nei confronti dell'operato esterno.

La spinta all'indipendenza è la migliore garanzia in ogni occasione, tanto più lo è nella tutela della propria salute.

Riguardo poi alla tanto decantata e ammirata capacità di comprensione e di conforto che un medico dovrebbe avere nei confronti di un malato, il carattere talvolta esasperato ed eccessivamente pietistico di alcune prese di posizione ha apportato in pratica conseguenze prevalentemente negative, per un verso determinando confusione tra valori umanitari e incompetenza e impreparazione, per un altro mascherando la reale inadeguatezza di sistemi terapeutici improponibili, per nulla dipendenti dal comportamento dei sanitari: l'umanità, dote dell'essere umano perché essere umano e non perché medico, non è un elemento professionale qualificante; il senso etico deve risplendere "a monte", nella concezione della terapia in funzione della vita e dell'integrità corporea, non in uno sterile compassionismo fuorviante e potenzialmente discriminante.

 

Una diversa impostazione della medicina

Oggetto dello studio sulla salute è il bene o più propriamente lo star bene degli esseri umani (dove nel sintagma "star bene" vengono sospese per comodità tutte le tematiche di ordine superindividuale), reso possibile, in un'integrazione ottimale dei livelli corporeo e psichico, dalla "normalità" delle funzioni vitali generali.

1) Regolarità nel sonno, appetito, evacuazioni

2) Prontezza, vigilanza, funzione sessuale

3) Buonumore, interessi intellettuali, disponibilità verso il prossimo, serenità,

sono segni e nello stesso tempo cause di uno stato psico-fisico soddisfacente, unico riferimento di qualsiasi terapeutica generale, o più o meno specifica o settoriale.

In una condizione di malattia, dunque, se lo scopo principale è rappresentato dalla restaurazione della regolarità delle funzioni vitali, dal ripristino dell'equilibrio perduto a motivo di un abbassamento di Energia, è d'obbligo allora soppesare ogni intervento con tutte le sue conseguenze, non accontentandosi solo di soluzioni specifiche che non tengano conto del buon andamento delle funzioni generali.

Per arrivare fino in fondo, però, nella critica di metodi troppo superficiali, settoriali e quindi estremamente pericolosi, punto di partenza è la demistificazione dei totem comunemente acquisiti, in una riconsiderazione di quelle verità a prima vista tanto evidenti, inveterate, accettate e condivise, vere maledizioni del progresso e della conoscenza, intorno alle quali spesso vengono costruiti sistemi così dannosi e velenosi da limitare concretamente la vita di ogni membro della comunità.

"Una concatenazione di momenti, - afferma Weiszäcker - finora non esattamente conosciuta, ha contribuito al fatto che la fisica, e più tardi la chimica, sia sempre stata accompagnata da una fisica teoretica d'alto rango, mentre alla biologia è stato negato un tale custode "gnoseologico" metamedico.

Da mettere in discussione, quindi, è il metodo stesso di fare medicina, il cui fallimento totale, purtroppo, lo si percepisce sulla propria pelle soltanto tardi nella vita, quando schiavizzati, non più in grado di reagire, si è costretti a passare la giornata dietro a ricette, medicinali, analisi, elettrocardiogrammi, radiografie, contenitori per l'urina, apparecchi per la pressione, rinunce alimentari, restrizioni ambientali ecc., in un labirinto sempre più fitto in cui si perde alla fine la dignità e il valore di un'esistenza concepita per essere liberi, se stessi.

Tutto questo oggi non è più accettabile, non si può più assistere allo spreco di tanta vita, stornata in inutili affaccendamenti, dal suo vero senso che è la comunione con gli altri e per gli altri in un arricchimento reciproco e policromo. (13)

In un tentativo di emancipazione e di ribellione estremo si impone perciò una presa di coscienza da parte di tutti con lo scopo, traendo il massimo da ogni possibile emittente di benessere, di ridisegnare i contorni di una medicina più umana e più libera, dove non esista sciacallaggio e sofferenza gratuita, che sia capace di accogliere nel suo seno qualsiasi discorso sulla salute, qualsiasi principio e metodo più o meno ortodosso, purché abbia le potenzialità di produrre a livello individuale i maggiori livelli di energia e quindi di benessere.

Risulta evidente così che, in aggiunta alle strategie generali, bisogna ricorrere a concezioni che valorizzino ed esaltino ciascun individuo preso in considerazione di volta in volta nella sua propria dimensione, laddove la clinica testimonia il passaggio, la sublimazione dal carattere di scienza a quello di arte, intesa come capacità di forgiare, sulla base di conoscenze specifiche, soluzioni uniche per ciascun caso.

Eziologia, patologia, sintomatologia, prognosi, come pure costituzione, alimentazione, lavoro, appetiti, pulsioni, inclinazioni, rapporti sociali ecc., non sono riducibili a metri di giudizio codificati, ma rientrano in un equilibrio globale dell'individuo raggiungibile nei modi più diversi e con la distribuzione di pesi la più varia possibile.

Quale elemento, ci si domanda, è il più importante in un determinato momento e in determinate condizioni della vita di un malato?

Quale strada da seguire risulta prioritaria in una situazione morbosa?

Una persona, ad esempio, a cosa può imputare i suoi continui episodi di cefalea?

Preoccupazione, disalimentazione, insonnia, sindromi da raffreddamento, intossicazione, esaurimento, superaffaticamento, oppure la solita cervicale?

L'inappetenza, altro esempio, riconosce la sua origine in cause complesse simili a quelle descritte, o è imputabile alla solita" pigrizia" dell'intestino?

Così pure per anemia, colite, stipsi, affanno, diabete, ipertensione, angina, tumore ecc.., dove bisogna guardare e scavare per eradicarli?

Basta una pillola o un intervento per eliminarli?

La costruzione di un sistema di equazioni empiriche (14) su tutte le possibili variabili di vita, compresi il fattore tempo e l'elemento corpo, porta inevitabilmente alla soluzione del problema clinico di ogni malato.

Oggi per spiegare le nuove epidemie dal carattere degenerativo, non soddisfa più la matrice disciplinare microbiologica, di cui il pensiero medico non ha saputo liberarsi completamente (15); non è più sufficiente lo schema classico:

infezione-antibiotico-guarigione, o più in generale

noxa-antidoto-risoluzione,

dal momento che, in malattie non batteriche, non spiega e non aggredisce il perché del male, radicato non in un processo patologico ma in uno stile di vita.