LETTERATURA DIABOLICA: LEOPARDI E IL DIO DEL NULLA.

 

 

Il revival del diabolico, a cui si assiste nella modernità, ha un grosso debito con la letteratura, "perché - scrive Massimo Introvigne - testi <<satanici>> del mondo dell’espressionismo tedesco o di Baudelaire sono largamente impiegati, e lo stesso LaVey mostra di conoscere e cita l’Inno a Satana di Carducci" (M. Introvigne, Il cappello del mago, Milano 1990).

Alla morte di Aleister Crowley (1875-1947), "padre del satanismo moderno", innanzi al suo feretro, verrà declamata, assieme a rituali gnostici, la lirica del poeta italiano. Giosué Carducci in un articolo del 28 dicembre 1869 su "Il Popolo" espresse il suo concetto del demonio: "Il mio Satana è una specie di ebreo errante che per panteistica trasformazione passa di fenomeno in fenomeno, di mito in mito, di uomo in uomo. E così segue da molti secoli. Se una forma propria volessi dargli, lo rappresenterei giovin di verde e immortale gioventù, come gli dèi della Grecia, ma severo e mesto a un tempo nella sua raggiante bellezza. Con la spada nell’una mano e nell’altra una fiaccola, egli salirebbe di monte in monte guardando all’alto.

"Excelsior è il suo motto, come quello dell’ignoto peregrino americano del Longfellow. E nella immaginazione mia, egli non può sostare che sulla cupola di Michelangelo, in vetta al San Pietro. Quando egli sarà colassù, noi suoi fedeli sotterreremo finalmente Geova. Perocché cotesto vecchietto Dio è vivace: altri si è affaticato finora a seppellirlo, ed egli fa mostra di rassegnarsi; ma a un tratto scoverchia la tomba e salta fuori. Ma noi lo sotterreremo profondo, più profondo che i cretesi non facessero con Giove, perocché gli accatesteremo a dosso la -grave mora - del cattolicesimo romano. Questo è l’officio degli italiani".

Nel suo Inno a Satana, composto nel 1869, Carducci declama: "A te disfrenasi / il verso ardito, / te invoco, Satana, / Re del convito. / Via l’aspersorio, / Prete, e il tuo metro! / No, prete, Satana / non torna indietro! / (...)". Il diavolo di Carducci, ad ogni modo, simboleggia la trasgressione, il rifiuto della morale corrente, l’anticlericalismo, lo scetticismo e altro ancora.

Baudelaire (1821-1867), del demonio, nelle Litanie di Satana, scrive: "Tu, tra gli angeli tutti il più bello e dotato, / Dio tradito dal caso e di lodi privato, / o Satana, pietà del mio lungo patire! / Principe dell’esilio, stretto da ingiusta sorte, / e che ti risollevi, vinto, sempre più forte, / o Satana, pietà del mio lungo patire! / (...)". Nella Preghiera così declama: "Sia gloria e lode a te, Satana, nel più alto / dei cieli dove un tempo regnasti e nel profondo Inferno / dove in silenzio, vinto, sogni! / Possa la mia anima un giorno riposarti accanto / sotto l’albero della scienza nell’ora che i suoi rami / si intrecciano, tempo novello, più su della tua fronte"(C. Baudelaire, I fiori del male, in Poesie e prose, Milano 1977). Anche Crowley scrisse un Inno a Lucifero: "Hymn to Lucifer", (vedi <<The Equinox>>, voll. III, n.10, marzo 1986). Egli scrisse anche un "Hymne à Satan" (A. Crowley, su <<Thelema>>, n.2, 1983), in francese, che ovviamente deriva dalla lirica di Baudelaire.

Satana e Lucifero sono stati evocati da un’ampia letteratura. De Sade affermò che "Tutto è male, tutto è opera di Satana". William Blake (1757-1827), nel "Matrimonio del Cielo e dell’Inferno" (1790), esaltò la ribellione dell’uomo contro Dio. Milton (1608-1674) scrisse, nel 1667, l’epopea "Il paradiso perduto" che influenzò "l’immaginario russo" e, al proposito, "un interessante studio di Valentin Boss, pubblicato nel 1991, mostra come presso gli intellettuali a partire dal Settecento un elemento diabolico si affermi in una particolare incarnazione: il fascino del personaggio di Satana nel Paradiso perduto di John Milton, che (come era avvenuto, ma su scala minore, in altri paesi europei) viene apprezzato per le sue qualità <<nobili>> ed <<eroiche>> e diventa una figura positiva, un oggetto di culto - di tanto in tanto non solo letterario - fino a ispirare circoli occulti e la nascita di un vero e proprio satanismo" (M. Introvigne, Indagine sul satanismo, Milano 1994).

Il poeta inglese Byron (1788-1824), in Manfredi (1817) e Caino (1821), descrive il fratricida come una sorta di super uomo. La lista è ancora molto lunga. Questi e tanti altri letterati ebbero molto a cuore gli aspetti selvaggi, oscuri e luciferini della vita. Pochi sanno che anche Giacomo Leopardi (1798-1837) fu un cantore di Satana; anticipò pure Baudelaire e, a parere di Papini, egli è "nella letteratura italiana, l’unica testimonianza di una teoria teologica del male assoluto, cioè del diavolo" (G. Papini, Il diavolo (1953) in Opere, Milano 1960).

Leopardi, nel suo canto ad Arimane, che è il diavolo nella religione dei persiani, dice: "Re delle cose autor del mondo, arcana / malvagità, sommo potere e somma intelligenza, / eterno dator dei mali e reggitor del moto". Non sfuggono neppure le diverse affinità tra Leopardi e De Sade. La conoscenza, anche non approfondita delle loro opere, pone subito in luce, scrive Mario Andrea Rigoni, alcune indicative analogie e cioè "che la convinzione della nullità dell’uomo nell’universo e, per conseguenza, la denuncia dell’insensato orgoglio antropocentrico, la visione di una natura indifferente e crudele nei confronti delle proprie creature, l’idea della divorante infinità del <<desiderio>> ecc. sono temi assolutamente comuni" (M. A. Rigoni, Il pensiero di Leopardi, Milano 1997) ad entrambi.

Scrive ancora Rigoni: "in Sade, come in Leopardi, si delinea una forma di monismo - se non proprio di teismo - nero, che consegna il mondo a un principio, una condizione e un fine puramente infernali" (Ibid.). L’accostamento di Leopardi a Sade è stato più volte oggetto di trattazione (vedi A. Giuliani, Il nullificatore del desiderio, in Le droghe di Mardiglia, Milano 1977, pagine 189-190; M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica [1930], 4° ediz., Firenze 1996, pagina 210, nota 60; L. Baccolo, Che cosa ha veramente detto de Sade, Roma 1970, pagine 78-82).

Nello Zibaldone Leopardi scrive, nelle pagine redatte in data 19-22 Aprile 1826: "Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo non sono altro che male, né diretti ad altro che al male" (Zib., 4174). Il poeta vede la vita come la manifestazione dell’essenza del male.

Non si è fatto caso che questi oscuri versi sono coincidenti al concetto di alcune asserzioni di de Sade. Nella seconda parte di Juliette ou les prospérités du vice (1796), infatti, il libertino Saint-Fond dice: "Convinto di questo sistema, mi dico: c’è un Dio; una mano qualunque ha creato necessariamente tutto ciò che vedo, ma lo ha creato soltanto per il male, essa si compiace soltanto nel male, il male è la sua essenza (…). Nel male egli (Dio) ha creato il mondo, con il male lo regge, con il male lo perpetua. Impregnata di male la creatura deve esistere e in seno al male deve rientrare dopo la sua esistenza" (Histoire de Juliette ou les prospérités du vivce, in Oeuvres complétes du Marqis de Sade, t. VIII, Paris, 1966, pp. 383-384)

Per Leopardi l’infinito, la stessa divinità sono il nulla: "In somma il principio delle cose, e il Dio stesso, è il nulla" (Zib. 1341: 18 Luglio 1821) e scrive ancora: "Pare che solamente quello che non esiste, la negazione dell’essere, il niente, possa essere senza limiti, e che l’infinito venga in sostanza a esser lo stesso che il nulla. Pare soprattutto che l’individualità dell’esistenza importi naturalmente una qualsivoglia circoscrizione, di modo che l’infinito non ammetta individualità e questi due termini sieno contraddittorii; quindi non si possa supporre un ente individuo che non abbia limiti" (Zib. 4178: 2 Maggio 1826).

Leopardi vede il regno del male come addirittura necessario nel sistema sociale e Rigoni, nel suo citato lavoro, precisa: "E’ da ricordare che nel 1829, in polemica con Rousseau, egli aveva ribadito il carattere non eccezionale o accidentale, ma essenziale e ordinario del male nel sistema delle cose. …’Che epiteto dare a quella ragione e potenza che include il male nell’ordine, che fonda l’ordine nel male’ se non appunto quello di un dio? Quattro anni più tardi, …poco prima del 29 Giugno 1833, Leopardi lo troverà nella religione mazdeica o zoroastriana, progettando di riversare il suo disperato satanismo in un inno ad Arimane".

Rigoni sottolinea come "con Sade e con Leopardi, forse per la prima volta nella storia del pensiero occidentale, il principio negativo cessa di avere una funzione dialettica e subordinata rispetto al principio positivo e diventa il solo che determina e spiega il reale: il dio malvagio di Saint-Fond non incontra nessun avversario che contrasti il suo trionfo, come l’Arimane leopardiano non conosce l’opposizione vittoriosa di alcun Ormuzd".

 

 

Giuseppe Cosco

 

gcosco@columbus.it

    

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